Per valutare l’opportunità di acquistare un credito edilizio, rischi a parte, occorre fare bene i conti ed inquadrare il trattamento fiscale dei proventi generati
di Luciano Ficarelli – 31/03/2023
Nel caos normativo scaturito dalle tante modifiche intervenute sugli articoli 119 e 121 del Decreto Rilancio, è emersa un’opportunità di guadagno in ambito finanziario che a molti sfugge: l’acquisto dei crediti maturati sugli interventi edilizi. I più attenti alla nascita di nuove opportunità di investimento hanno maturato la convinzione che l’acquisto di un credito d’imposta è un’occasione da non lasciarsi sfuggire, soprattutto in un periodo dove l’aumento del tasso d’inflazione, le fibrillazioni in ambito bancario e la non del tutto serena situazione internazionale mette a rischio un deposito bancario peraltro poco remunerativo.
Per meglio valutare l’opportunità e “pesare” la convenienza dell’operazione, occorre inquadrare il trattamento fiscale dei proventi generati dall’acquirente di questi crediti, acquisiti «sotto la pari» e poi compensati nei modelli F24 al valore nominale. Pertanto, si vuole fornire un quadro di riferimento per comprendere se la differenza tra quanto si paga e quanto si riceve nella cessione dei crediti è soggetto a tassazione. L’argomento è ostico ma di grande rilevanza.
Occorre innanzitutto distinguere i soggetti cessionari:
- Imprese;
- Professionisti;
- Privati.
Distinguere i soggetti è fondamentale perché ad ognuno di questi fa riferimento una norma fiscale diversa.
Credito acquistato da imprese
Inizialmente, con la risposta ad interpello 105 del 15 aprile 2020, nell’ambito dei redditi d’impresa, l’Agenzia delle Entrate aveva laconicamente concluso che “ai sensi dell’articolo 88 del TUIR, la sopravvenienza attiva pari alla differenza tra valore nominale e costo di acquisto del credito concorrerà alla formazione del reddito imponibile nell’esercizio in cui il credito è acquisito”.
Successivamente, l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), su richiesta dell’Agenzia delle Entrate, è intervenuto con un documento del 3 agosto 2021 per chiarire gli aspetti contabili e fiscali dei crediti derivanti da bonus edilizi. Richiamando brevemente gli aspetti contabili, pur se non sono oggetto dell’argomento qui trattato, alla domanda n. 4 “ricezione del credito (cessionario) – contabilizzazione nel bilancio della società (cessionaria) che acquista il credito di imposta con facoltà di successiva cessione” ha risposto che “i cessionari rilevano la differenza tra il valore di iscrizione del credito tributario e il suo valore nominale in quote costanti, lungo il periodo di tempo in cui la legge consente di utilizzare il credito in compensazione, a conto economico nella voce proventi finanziari”. In pratica, il guadagno che deriva dall’acquisto dei crediti fiscali è un provento finanziario da contabilizzare per competenza, quindi anno per anno.
Dal punto di vista fiscale, la collocazione del surplus ottenuto dal cessionario tra i proventi finanziari determina la tassazione dello stesso ai sensi dell’art. 96 del TUIR la cui disciplina si applica ”agli interessi passivi e agli interessi attivi, nonché agli oneri finanziari e ai proventi finanziari ad essi assimilati che derivano da un’operazione o da un rapporto contrattuale aventi causa finanziaria o da un rapporto contrattuale contenente una componente di finanziamento significativa”.
Per completezza, a parere di chi scrive non si ritiene che il surplus ottenuto dal cessionario sulla differenza tra il valore nominale del credito e quanto effettivamente pagato al cedente possa essere considerato una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88 del TUIR secondo cui “si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi”. L’estemporaneità del surplus derivante dall’operazione di cessione del credito non è compatibile con la definizione fiscale di sopravvenienze attive che derivano dalla realizzazione di ricavi o proventi determinati dal conseguimento di voci di bilancio già presenti negli anni precedenti.
Credito acquistato da un Professionista
I princìpi contabili richiamati dall’OIC non possono riguardare i professionisti e soggetti assimilati. Pertanto, occorrerebbe individuare la categoria di reddito in cui collocare il guadagno derivante dalla differenza tra quanto pagato e il valore nominale del credito. In mancanza di un chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, la dottrina prevalente afferma che il provento rientrerebbe nella categoria dei redditi diversi, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies) del TUIR la cui disciplina si applica “alle plusvalenze ed altri proventi […] realizzati mediante cessione a titolo oneroso […]”. Alternativamente, si potrebbe qualificare il reddito percepito come reddito di capitale ed applicare l’art. 44 comma 1 lett. h) secondo cui sono tassabili “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale […]”.
A parere di chi scrive, è esclusa la collocazione del reddito percepito nell’ambito dell’art. 54 del TUIR poiché la norma fa riferimento solo al reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni. Non pare che una proposta di acquisto di un credito d’imposta sia rilevabile tra le attività professionali o artistiche nell’elenco tassativo dell’art. 54 del TUIR.
La tipologia di reddito cambia se il credito è acquistato per mezzo dello sconto in fattura. Nel caso in cui il Professionista sia stato incaricato dal committente per la realizzazione delle progettazioni o delle asseverazioni e il pagamento avvenga tramite lo sconto in fattura, l’acquisto del credito con un addebito degli oneri finanziari al committente sarebbe un’operazione che rientra nell’esercizio delle professioni di cui all’art. 54 del TUIR. Nel caso del superbonus al 110%, ad esempio, il 10% del credito d’imposta più gli oneri finanziari rappresentano una sopravvenienza attiva soggetta a tassazione. Così si è espressa l’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 243 del 4 maggio 2022: “si ritiene che rientri tra i compensi connessi alla prestazione professionale, e come tale assoggettato a tassazione ai sensi del medesimo articolo 54 del TUIR, anche l’eventuale corrispettivo pattuito con il cliente per l’attualizzazione del credito ricevuto“.
Per la tassazione si osserverà il principio di cassa.
Credito acquistato da privati
Per quanto riguarda l’acquisto dei crediti da parte di un soggetto privato, la dottrina si è espressa quasi con consenso unanime sulla non tassabilità del provento. Su questa teoria si pongono però alcuni dubbi.
In primo luogo, è lecito domandarsi se la collocazione del reddito percepito dai professionisti con partita iva nell’ambito dei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies) o nell’ambito dei redditi di capitale di cui all’art. 44 comma 1 lett. h) non debba valere per i privati senza partita iva, considerato che i redditi soggetti a tassazione in base a questi due articoli del TUIR non riguardano redditi d’impresa nè redditi professionali.
In secondo luogo, un’interpretazione favorevole al contribuente dovrebbe essere estesa anche agli altri due soggetti, imprenditore e professionista, qualora effettuino l’acquisto del credito d’imposta in qualità di privati e non nell’ambito dell’esercizio d’impresa o della professione, con utilizzo in compensazione del credito solo con imposte e tasse personali (ad esempio, IRPEF su locazioni di immobili, IMU e TARI sugli immobili non patrimoniali, redditi di lavoro occasionale).
Occorre richiamare una vecchia Circolare Ministeriale, la n. 165 del 24 giugno 1998, che, in tema di redditi diversi e di capitale, propose un nuovo principio qui di seguito riportato: “la definizione di reddito di capitale non deve più ripetere necessariamente la nozione civilistica di frutto civile, ma può solo poggiare su di essa, riprendendo i caratteri strutturali della categoria civilistica di frutto civile, definendo cioè come redditi di capitale quei proventi che derivano da un impiego di capitale secondo uno schema produttivo analogo a quello civilistico di frutto. Tale scelta comporta necessariamente l’introduzione di norme di chiusura nella categoria dei redditi diversi, con funzione di eliminare forme di elusione e, ove necessario, di definirne la categoria in contrapposizione con quella dei redditi di capitale”.
La circolare sopra richiamata conduce ad una conclusione: la stipula di un atto di compravendita di un credito fiscale ha come funzione quella dell’impiego di capitale e, per tale motivo, l’arricchimento derivante dall’utile ottenuto rientra nell’ambito dei redditi di capitale.
La mancanza di un chiarimento da parte delle istituzioni lascia una libera interpretazione degli operatori che, sicuramente, non mette al riparo da future interpretazioni autentiche il cui effetto retroattivo causerebbe importanti esborsi di imposte imprevisti.
Per tale motivo, si ritiene assoggettare a tassazione le differenze ottenute tra il valore nominale del credito e la somma effettivamente pagata al cedente da qualsiasi dei soggetti partecipanti al contratto di cessione.